Si parla di ripresa, ma come abbiamo scritto in realtà si tratta solo di una boccata di ossigeno di un sistema moribondo. Si misurano e confrontano i decimali, quando in realtà ci si dovrebbe preoccupare per aver imboccato una strada senza uscita. Non possediamo più la sovranità monetaria né quella politica, di conseguenza i governi fingono di scegliere ma in realtà sono all’interno di un percorso obbligato. Dentro questo sistema di regole, che potrebbero sembrare nuove ma sono vecchie e stantie, vince il più forte, chi detta la linea ma non la rispetta; per chi non lo avesse capito stiamo parlando della Germania. Ciò avviene mentre tutti gli altri Paesi vanno a fondo, ma lo fanno con orgoglio, perché hanno la consapevolezza di rispettare i dogmatici parametri. Tutti si intestano la paternità dei risultati e parlano di ripresa, senza dire, o probabilmente senza sapere, che si tratta di un miglioramento contingente dovuto a cause esterne. Risultati che nelle intenzioni di chi li ha prodotti sarebbero dovuti essere notevolmente migliori, ma che per una serie di motivazioni oggettive, che analizzeremo in seguito, non potevano che essere quelli che sono. Le cause esterne di cui stiamo parlando sono le misure di politica monetaria decise da Mario Draghi, e precisamente: il quantitative easing, l’abbassamento dei tassi di interesse e la riduzione del tasso di cambio dell’euro. Misure tra esse collegate, perché il quantitative easing, meglio conosciuto come il bazooka di Draghi, consiste in un massiccio acquisto di titoli di Stato da parte della Bce, che mira ad un abbassamento dei tassi d’interesse e ad un aumento dell’inflazione. La conseguente svalutazione dell’euro rispetto alle altre monete dovrebbe aiutare le esportazioni e far ripartire il sistema. Ricordiamo, che ai tempi di Jean-Claude Trichet si era convinti del contrario, e si era fieri della “moneta forte”, infatti si parlava di super- euro, che era arrivato a quota 1.60 rispetto al dollaro. Lo dico in maniera più semplice: per acquistare un euro erano necessari 1.60 dollari. Quando nel 2011 arriva Draghi, il cambio con il dollaro era a 1.34, e a seguito della sua politica monetaria è sceso fino a 1.10 per poi risalire leggermente, infatti alla data odierna è a 1.18. Nonostante le manovre espansive di Draghi non abbiano portato i risultati sperati, hanno comunque dato segnali positivi. Ma bisognerebbe essere consapevoli che si tratta di risultati temporanei, legati alla eccezionalità dei provvedimenti. Chiunque mastichi un po’ di economia, sia onesto e non abbia particolari interessi o rendite di posizione da difendere, dovrebbe sapere che senza il quantitative easing avremmo avuto centinaia di migliaia di disoccupati in più, miliardi di prodotto interno lordo in meno e un rapporto debito/PIL da capogiro. Con molta probabilità saremmo stati commissariati, con conseguenze inimmaginabili. Quindi invece di crogiolarci sugli allori dovremmo essere seriamente preoccupati e pensare al futuro, con la consapevolezza che la parentesi Draghi a breve si chiuderà. Invece assistiamo a lunghi e monotoni dibattiti televisivi dove i protagonisti, incuranti di tutto ciò, mirano unicamente a contendersi il merito dello zero virgola in più di qualche strano parametro. Confronti serrati e analisi dotte volte a stabilire se la natura della ripresa sia strutturale o congiunturale, senza capire che è semplicemente esogena.