Spesso sento e leggo in giro che una delle regole principali per gestire un blog è scrivere quotidianamente. Qualcuno si spinge ad affermare: “il contenuto non è fondamentale, ciò che conta è essere presenti quotidianamente”. Questa regola di mercato probabilmente sarà una buona strategia di marketing, ma non è la mia regola. Scrivo appena ho un attimo di tempo, perché, fondamentalmente, è un gesto che mi aiuta, mi fa mettere in ordine i pensieri che spesso si affollano confusamente nella testa. Ma, nonostante scriva abbastanza, pubblico con poca frequenza perché a volte mi autocensuro, in quanto credo vada pubblicato solo ciò che rientra in un ragionamento complessivo che sto cercando di portare avanti. Inoltre, mi capita di scrivere cose che non mi piacciono perché le ritengo poco interessanti, e quindi le cestino. Tutto ciò per dire che la filosofia di questo blog non è di scrivere a tutti i costi, ma di scrivere solo se si ha qualcosa da dire. Quindi, la frequenza nelle pubblicazioni, dipende dal tempo che ho a disposizione e da quello che ho da dire. Fino a qualche giorno fa, di tanto in tanto, mi assaliva il dubbio che questa decisione non fosse quella giusta, e che forse avrei dovuto convertirmi alle regole del marketing. Ma poi, mi è capitato tra le mani un interessante rapporto, di qualche mese fa, del Ruters institute, centro di ricerca del dipartimento di politica e relazioni internazionali dell’Università di Oxford, fondato nel 2006. Nel documento si illustra il dilagare di un fenomeno denominato news avoidance, tradotto letteralmente significa evitamento di notizie. Sembra che, un po’ in tutto il mondo, si registri una scarsa voglia di informarsi. I Paesi dove il fenomeno è più frequente, e che quindi guidano la classifica, sono la Grecia e la Turchia con il 57 per cento della popolazione coinvolta. l’Italia si posiziona a metà della graduatoria con il 28 per cento, in fondo si collocano il Giappone (con il 6 per cento) e i paesi scandinavi. Il fenomeno colpisce le donne più degli uomini, e le motivazioni per le quali c’è questo disinteresse crescente sono di diversa natura. Si va dalla motivazione apparentemente più banale, cioè che le brutte notizie demoralizzano e mandano giù l’umore, a una generale mancanza di fiducia nei mezzi d’informazione che ricevono condizionamenti volontari o involontari, al rigetto dovuto per un eccesso di notizie. Lascio a voi le riflessioni, io concludo associandomi alla giornalista Ariana Tobin, che prima di essere reporter per ProPublica lavorava per il The Guardian, la quale dà tre preziosi consigli a chi scrive: selezionare di più, stabilire delle priorità e chiedersi sempre se quello che si sta per scrivere valga davvero il tempo di chi legge. Perché, nonostante ami particolarmente parlare e scrivere, sono convinto che spesso il silenzio sia preferibile a delle vuote parole, pronunciate o scritte solo per riempire degli spazi.
Grazie Vito, per non cedere alle regole del marketing, per il valore che dai al tuo tempo e a quello di chi ti legge, per continuare ad essere una garanzia di onestà intellettuale. Io, nel mio piccolo, vigilerò affinché tu non ceda alle tentazioni di questo mondo balordo. Tieni duro.
Grazie Lorella, per il sostegno e la stima. Andrò avanti nel mio lavoro così come sto facendo, fino a quando avrò qualcosa da dire e l’energia per farlo. A presto.